giovedì 26 gennaio 2012

ANCHE NOI ADERIAMO ALLA CAMPAGNA “IO MI CHIAMO GIOVANNI TIZIAN”

E’ passato ormai più di un mese da quando è stato deciso di mettere sotto scorta Giovanni Tizian, 29 anni, giovane giornalista minacciato dalla criminalità organizzata per le sue inchieste su casalesi, ‘ndrangheta e Cosa nostra. E questo dove è accaduto? Casal di Principe? Torre Annunziata? Caltanissetta? No, Modena, Emilia-Romagna. Giovanni, figlio di Peppe Tizian, assassinato a Locri il 23 Ottobre 1989 dalla ‘ndrangheta mentre tornava a casa dal lavoro, dal 2006 è collaboratore precario per la Gazzetta di Modena, racconta il volto settentrionale delle mafie su Linkiesta.it, Lettera 43 e Narcomafie, è in prima fila sul fronte antimafia con l’associazione daSud. Si era da poco occupato anche di Reggio Emilia.

E dire che la presidente di provincia Sonia Masini, nel Febbraio 2009 ad un convegno sulle infiltrazioni mafiose in territorio reggiano, davanti al procuratore Gratteri e al criminologo Nicaso, aveva affermato: “Reggio è sana. Qui la mafia non esiste”. Meno male che esattamente un anno fa sulla Gazzetta di Reggio (la stessa che ora dedica la prima pagina a Tizian) Mario Degola accusava noi, Enrico Bini e il Venerdì di Repubblica di sopravvalutare il problema e di fare parte della “schiera di agguerriti tifosi di miti collettivi come quello di Gomorra a Reggio”. Noi abbiamo risposto immediatamente all’idiozia di quell’intervento, non molti altri lo hanno fatto. Meno male che all’incontro con Christian Abbondanza (intervistato addirittura da Iacona domenica scorsa a Presa Diretta!) venuto a Correggio il 29 Novembre 2011 a presentare il libro “Tra la via Emilia e il clan” non si sia presentato alcun assessore né consigliere comunale della provincia, nessun direttore di banca né presidente di grandi cooperative, nessuno a parte un solo isolato assessore di Boretto, pur essendo stati tutti formalmente invitati dagli organizzatori.

“Reggio è sana. Qui la mafia non esiste”. E intanto si sigillano cantieri a Fabbrico, Correggio e Novellara. Automobili vanno a fuoco nelle periferie di Reggio (sono 25 i roghi dolosi e sospetti solo nell’ultimo anno). Il figlio del boss Alfonso Capraro viene arrestato con l’accusa di estorsione aggravata di stampo mafioso, siamo a Bagnolo.

Cittadinanze onorarie a Don Ciotti? Incontri con procuratori antimafia e giornalisti siciliani introdotti dagli assessori comunali? Atti ammirevoli. Ma questo non basta, come non basta riempire i propri carrelli di tarallini di Libera. Noi crediamo che arrivati a questo punto riempirsi la bocca di “solidarietà” e di legalità di facciata non serva proprio più a nulla. Crediamo che si debba ripartire da una lotta reale e un’azione diretta che vada sui cantieri edili e gli appartenenti sfitti, che controlli le gare d’appalto e gli scontrini maggiorati nelle pizzerie che riciclano denaro sporco, che si tenga sott’occhio il giro delle slot machine, del videopoker e del traffico di prostituzione e stupefacenti. Crediamo che sia fondamentale anche qui a Reggio e in Emilia affrontare a tutti i livelli il problema delle organizzazioni criminali. Della mafia, seconda faccia del capitalismo più malato e del perseguimento del profitto ad ogni costo, economia nell’economia, stato nello Stato che non ha mai smesso però di collaborare con parlamentari e consiglieri comunali, modello culturale che sdogana clientelismo, raccomandazione e politica dell’intrallazzo. Di quella che non è più solo una “questione meridionale”, ma una questione nazionale. Per questo, e per tanti altri motivi, noi del Fronte sosteniamo Giovanni Tizian e tutti quei giornalisti precari che ogni giorno portano avanti la loro attività di controinformazione e d’inchiesta in uno stato di totale vulnerabilità economica e fisica. Sosteniamo anche tutti quei giornalisti di cui non si parla mai, quelle centinaia di redazioni in Italia, periodicamente minacciate e ricattate che non vengono mai ricordate non vantando in curriculum una situazione abbastanza grave da meritare i riflettori della gloria televisiva e i programmi di Rai Tre. Per questo ci chiamiamo Peppino Impastato, giornalista di Cinisi ucciso nel ’78, e Giancarlo Siani, cronista del Mattino di Napoli assassinato nel ’85 dalla camorra. Per questo ci chiamiamo Lirio Abate, collaboratore dell’ANSA ancora vivo dopo l’ultimo attentato sventato nel 2007. Ci chiamiamo Rosaria Capacchione del Mattino di Napoli e Pino Maniaci di Tele Jato nella provincia palermitana, entrambi sotto scorta ormai da più di dieci anni.

E per questo nel 2012, a Modena, Emilia Romagna, anche noi ci chiamiamo Giovanni Tizian.

venerdì 13 gennaio 2012

Maledetta primavera: docufilm e dibattito sulla “primavera araba”

Cosa succede veramente dall'altra parte del mediterraneo? Perché hanno bombardato e colonizzato la Libia?  I media ce la raccontano giusta o sono allineati e coperti nelle politiche di chi fa una guerra dopo l'altra? Chi è davvero Gheddafi e chi sono davvero i ribelli di Bengasi? Tra Hillary Clinton e Assad, quale verità sulla Siria. Quale destino per le primavere arabe, quelle vere, quelle false.
Una serata di discussione e dibattito con l'autore Fulvio Grimaldi: un docufilm su rivoluzioni, controrivoluzioni e guerre NATO nel mondo arabo.



Il pub che ci ospita è il “MakiPub”, a Bagnolo (5 minuti dal centro cittadino) in via Boiardo 4/4

domenica 8 gennaio 2012

Il Fronte intervista Omar Mih,rappresentante italiano del Fronte Polisario

Per approfondire la questione del popolo saharawi e del Fronte Polisario può essere utile questo articolo del    Fronte.

- Cos’è il Fronte Polisiario? Qual è la sua natura politica e quali le sue tattiche?
Il Polisario è un movimento di liberazione (rappresentato in tutti i paesi europei) nato anni negli anni 70, il 10 maggio 1973, con lo scopo di liberare il Sahara occidentale dalla presenza coloniale spagnola e per ottenere l’ indipendenza del popolo saharawi. All’interno del movimento di liberazione sono rappresentati tutti i pensieri politici con un denominatore comune però: la convinzione che il popolo deve avere la sua autodeterminazione e il paese deve diventare indipendente. Il Fronte Polisario fino agli anni ‘90 ha utilizzato la lotta armata come strumento di liberazione..da quegli anni in poi invece il Polisario pratica la strada della non violenza e della collaborazione con la comunità internazionale, in particolar modo con le Nazioni Unite.
- Quali sono i suoi rapporti internazionali e soprattutto con l’Italia?
Le sue relazioni sono molto ampie, tutti gli stati dell’Africa, dell’America Latina, dell’Asia e anche con paesi occidentali. Questo territorio è riconosciuto dagli anni ‘60 dall’ONU come autonomo e pertanto la popolazione ha diritto all’autodeterminazione. Su questa base il Fronte Polisario stringe rapporti politici. Con l’Italia abbiamo ottimi rapporti diplomatici: il parlamento italiano in diverse occasioni, e in modo trasversale, ha sostenuto il diritto all’ autodeterminazione del popolo sharawi.
- Possiamo allora fare un raffronto tra il Fronte Polisario e il CLN italiano durante la Liberazione, al cui interno militavano forze politiche molto differenti tra loro, nonostante il ruolo egemone del Partito Comunista Italiano e dei suoi militanti.
Anche all’interno del Fronte Polisario esiste una forza egemone?
All’interno del Fronte Polisario ci sono diverse correnti di pensiero: dai liberali ai marxisti fino agli arabisti. L’accordo raggiunto tra tutte queste diverse sensibilità è che al momento della liberazione dalla dominazione coloniale e con l’indipendenza, il Fronte si scioglierà rimanendo un patrimonio ideale per il popolo saharawi. Tutte le forze componenti diventeranno poi partiti politici che si presenteranno a libere elezioni.
- Rapporti con gli altri paesi dell’area. Ci sono paesi che più di altri sostengono attivamente la lotta del popolo Saharawi e del Fronte Polisario?
Certamente. Intanto l’Unione Africana che racchiude tutti i paesi del continente a parte il Marocco.Questo perché l’UA ha riconosciuto, nel 1984, l'indipendenza della Repubblica Araba Saharawi Democratica. La maggioranza dei paesi africani, anche se non tutti, sostiene questa posizione.
- In particolar modo, ci può spiegare meglio i rapporti con l’Algeria e la Libia?
Con tutti i paesi del Maghreb abbiamo buoni rapporti, eccetto ovviamente il Marocco. Addirittura con la Mauritana, che era scesa in guerra contro di noi. Dopo due anni di conflitto l’abbiamo sconfitta ed ora riconosce la Repubblica Saharawi e il Polisario, rinunciando a tutte le proprie rivendicazioni . L’Algeria è un alleato storico, non solo perché ha dato ospitalità ai rifugiati saharawi , ma ha sostenuto la nostra battaglia per l’autodeterminazione. Come la Tunisia o la Libia e l’Egitto: a parte le monarchie, tutte solidali con il Marocco.
- La destabilizzazione dell’area e la “primavera araba”. Soltanto una mossa geopolitica che riguarda il MO? Cosa vi aspettate che cambi per il popolo saharawi?
No, pensiamo sia una rivoluzione araba cominciata proprio nel Sahara occidentale, nel novembre del 2010 con le grandi proteste di El Ayun. E ci piacerebbe che questo fosse di aiuto per far conoscere ancora di più la nostra situazione e la nostra causa. Anche perché i popoli del nord africa hanno perso la paura, chiedono più libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani facendo cadere dittatori come Ben Alì e Mubarak.
Noi speriamo che questo vento arrivi anche in Marocco, dove già ci sono le condizioni. Esiste un movimento, che si chiama “20 di febbraio”, che tutti i fine settimane fa delle manifestazioni di protesta chiedendo proprio più libertà e democrazia.
- Per il futuro. Quale tipo di lotta intendete portare avanti? Continuare sulla strada della non violenza? O è possibile un ritorno alla lotta armata?
Ormai da 20 anni i dirigenti del Polisario hanno intrapreso la strada della resistenza pacifica e su questa strada stiamo continuando. Non so fino a quando possiamo resistere, se non arriva una risposta positiva dalla comunità internazionale. Però la scelta, malgrado le provocazioni del Marocco e di tutti i suoi amici, è di continuare su una strada pacifica. Questa è la nostra linea.
- Chi sono gli amici del Marocco?
La Spagna chiaramente ma anche e soprattutto la Francia che lo sponsorizza e gli da sostegno economico contro gli stessi principi che “proclama” nel mondo, come possiamo vedere in Libia per “difendere la popolazione” o in Siria per la “difesa dei diritti umani”!

venerdì 6 gennaio 2012

Il nostro primo tricolore

Nata il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia, è considerata la prima bandiera nazionale italiana. Così come la repubblica, ebbe vita fino al 17 luglio 1797. La bandiera fu preceduta (1796) da stendardi militari della Repubblica Transpadana ispirati al tricolore francese che Napoleone aveva assegnato ai patrioti italiani che lo seguivano. È probabile che su tale scelta abbia influito l'uniforme della Milizia Civica milanese, i cui militi erano detti remolazzit, dal nome locale di una specie di rapa, per via delle loro divise verdi e bianche. Quando poi la Milizia fu trasformata in Guarda Nazionale, si aggiunse anche il rosso dei baveri, dei risvolti e delle spallette. Sull'emblema centrale, che assunse la forma definitiva il 25 febbraio, figuravano le iniziali della repubblica e un turcasso con quattro frecce, in rappresentanza delle province di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio che formarono l'originaria federazione Cispadana.


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