giovedì 8 marzo 2012

Il Giorno della Donna

Alexandra Kollontai*, 1913
*rivoluzionaria sovietica, femminista e prima donna al mondo che abbia avuto incarico di Ministro e Ambasciatrice: per saperne di più.

Cos'è il giorno della donna? E' realmente necessario? Non è una concessione alle donne della classe borghese, ai movimenti femministi e alle suffragette? Non è dannoso all'unità del movimento operaio? Di queste questioni si sente ancora discutere in Russia, sebbene all'estero non se ne parli più. La vita stessa ha già dato una risposta chiara ed eloquente.

Il giorno della donna è un anello della catena lunga e compatta del movimento operaio delle donne. L'esercito organizzato delle donne lavoratrici cresce di giorno in giorno. Venti anni fa i sindacati operai contavano soltanto piccoli gruppi di donne sparpagliate qua e là tra la fila del partito dei lavoratori...Ora i sindacati inglesi contano più di 292.000 donne sindacaliste, in Germania ci sono circa 200.000 sindacaliste e 150.000 iscritte al partito dei lavoratori, in Austria 47.000 nel sindacato e 20.000 nel partito. Ovunque, in Italia, in Ungheria, in Danimarca, Svezia, Norvegia e Svizzera le donne della classe operaia si stanno organizzando fra loro. L'esercito delle socialiste conta quasi un milione di membri. Una forza poderosa! Una forza con cui i potenti del mondo devono fare i conti quando si pone sul tavolo il tema del costo della vita, dell'assicurazione della maternità, di lavoro infantile o di legislazione per proteggere il lavoro femminile.

Una volta i lavoratori uomini pensavano di dover caricare esclusivamente sulle proprie spalle il peso della lotta contro il capitale, di dover affrontare il "vecchio mondo" senza l'appoggio delle loro compagne. Tuttavia, appena le donne della classe operaia entrarono nelle fila di coloro che vendevano la propria forza lavoro in cambio di un salario, costrette ad entrare nel mercato del lavoro per necessità, perché il padre o il marito erano disoccupati, gli operai iniziarono a rendersi conto che lasciare le donne senza una coscienza di classe voleva dire danneggiare la propria causa e farla arretrare. Maggiore il livello di coscienza nella lotta, maggiori le possibilità di successo. Che coscienza può possedere una donna seduta accanto al focolare, senza diritti nella società, nello stato e nella famiglia? Nessuno, fa quel che le ordina il padre o il marito...

Il ritardo e la mancanza di diritti subiti dalle donne, la sua sottomissione e la sua indifferenza non sono di alcun beneficio alla classe operaia, anzi di fatto la danneggiano direttamente. Ma in che modo la donna entrerà nella lotta, come svegliarla?

La socialdemocrazia non ha trovato una soluzione immediata. Le organizzazioni operaie erano aperte alle donne, ma solo in poche lavoravano. Perché? Perché la classe lavoratrice inizialmente non si era resa conto che la donna era l'elemento più socialmente e legalmente svantaggiato di quella classe, che più era stata colpita nel corso dei secoli, intimidita e perseguitata, che per stimolare il suo cuore e la sua mente aveva bisogno di un approccio speciale, di parole che lei, in quanto donna, potesse capire. I lavoratori non avevano compreso subito che in questo mondo di diritti negati e sfruttamento, la donna è oppressa non solo come lavoratrice, ma anche in quanto moglie e madre. Tuttavia, non appena i membri del partito socialista operaio si sono resi conto di ciò, hanno fatto loro la lotta per la difesa delle lavoratrici, come salariate, madri e mogli.

In ogni paese i socialisti cominciavano a domandare una protezione speciale per il lavoro femminile, un'assicurazione per le donne e i loro figli, diritti politici per le donne e la difesa dei loro interessi.

Più il partito operaio percepiva in maniera chiara la dicotomia donna/lavoratrice, più ansiosamente le donne si univano al partito, apprezzavano il ruolo del partito come vero difensore delle loro istanze, comprendevano che la classe lavoratrice lotta anche per i bisogni urgenti ed esclusivi delle donne. Le stesse donne lavoratrici, organizzate e coscienti, hanno fatto tantissimo per spiegare questo obiettivo. Ora il peso del lavoro per attirare le lavoratrici nel movimento socialista sta nelle lavoratrici stesse. I partiti in ogni paese hanno i loro comitati, segretariati e bureau di donne. Questi comitati lavorano tra quella popolazione di donne politicamente ancora non cosciente, ne aumenta la coscienza e la organizza. Prendono anche in esame le questioni che riguardano direttamente le donne: la protezione per le donne incinta e con figli, la regolazione legislativa del lavoro femminile, la campagna contro la prostituzione e la mortalità infantile, la richiesta dei diritti politici per le donne, il miglioramento delle assegnazioni degli alloggi, la campagna contro l'aumento del costo della vita, etc.

Così, come membri del partito le donne lavoratrici lottano per la causa comune di classe, mentre allo stesso tempo delineano e pongono in questione quelle necessità e istanze che le toccano direttamente in quanto donne, mogli e madri. Il partito appoggia queste istanze e si batte per loro....Le rivendicazioni delle lavoratrici sono parte della causa comune dei lavoratori!

Nel giorno della donna, le dimostranti manifestano per i loro diritti!

Ma qualcuno dirà: perché separare la lotta delle donne? Perché esiste un giorno della donna, con speciali volantini per le lavoratrici, incontri e conferenze? Non è questa, in ultima analisi, una concessione alle femministe e alle suffregette borghesi? Solo coloro che non comprendono la differenza radicale tra il movimento delle donne socialiste e le suffragette possono pensarla così.

Qual è lo scopo delle femministe? Ottenere nella società capitalista gli stessi vantaggi, lo stesso potere, gli stessi diritti che possiedono adesso i loro mariti, padri e fratelli. Qual è l'obiettivo delle operaie socialiste? Abolire tutti i tipi di diritti che derivano dalla nascita o dalla ricchezza. Per la donna operaia è indifferente se il suo padrone è un uomo o una donna.

Le femministe borghesi domandano l'uguaglianza dei diritti sempre e in ogni luogo. Le lavoratrici rispondono: rivendichiamo gli stessi diritti per tutti i cittadini, uomini e donne, ma noi non siamo soltanto donne e lavoratrici, siamo anche madri. E come madri, come donne che un giorno avremo un figlio, chiediamo una speciale cura per noi stesse e per i nostri figli da parte del governo, una speciale protezione dallo stato e dalla società.

Le femministe si battono per conquistare i diritti politici. Anche qui i nostri cammini si separano: per le donne borghesi, i diritti politici sono un modo più comodo e più sicuro per raggiungere i propri obiettivi in questo mondo basato sullo sfruttamento dei lavoratori. Per le operaie i diritti politici sono un passo nel cammino aspro e difficile che conduce al desiderato regno del lavoro.

Le strade delle lavoratrici e delle suffragette si sono separate da tempo. C'è una enorme differenza tra i loro obiettivi. C'è anche una enorme contraddizione tra gli interessi della lavoratrice e quelli della signora, della serva e della padrona...Non c'è e non può esserci alcun punto di contatto, convergenza o conciliazione. Perciò i lavoratori non devono temere che ci sia un giorno a parte per la donna, né speciali conferenze per le lavoratrici né una stampa particolare.

Ogni speciale, distinta forma di lavoro tra le donne della classe lavoratrice è semplicemente un modo per aumentare la coscienza delle lavoratrici e avvicinarle alle fila di quelli che combattono per un futuro migliore. Il Giorno della donna e il lento, meticoloso lavoro condotto per elevare l'auto-coscienza della donna lavoratrice, stanno servendo la causa non della divisione, quanto dell'unione della classe operaia.

Lasciate che un sentimento allegro del servire la causa comune della classe operaia e di lottare simultaneamente per l'emancipazione femminile ispiri le lavoratrici ad unirsi alle celebrazioni per il Giorno della Donna.

Donne sull’orlo di una crisi economica


di Giulia Paltrinieri e Chiara Morgottivolantino8marz

La recente depressione economica, la chiusura di molti stabilimenti lavorativi, la continua erosione delle strutture del welfare nell’ultimo decennio, la generalizzata precarizzazione del lavoro e l’aumento del costo della vita portano nuovamente agli occhi di tutti, alla vigilia dell’8 Marzo, la condizione di perpetrante disparità tra uomo e donna.

Dunque, soprattutto in un periodo come questo non possiamo sottovalutare il problema della maggiore esposizione del genere femminile agli effetti della crisi nascondendoci dietro alle storiche conquiste dei movimenti femministi a partire dagli anni ‘70 del Novecento come il referendum sul divorzio (1974), il referendum sull'aborto e l’abolizione delle disposizioni sul delitto d'onore del 1981. Dobbiamo ricordare sempre che ci sono state donne che hanno lottato duramente per ottenere quei diritti che talvolta si considerano scontati e che devono essere ancora oggi, e a maggior ragione, difesi. Ma innalzare la bandiera delle conquiste sociali degli anni ’70 non basta, se no ci si accorge che in realtà oggi la figura della donna viene quotidianamente offesa e mutilata.

Infatti, è nei momenti di maggior disattenzione dell’opinione pubblica e di allontanamento sfiduciato dalla politica che i diritti tendono a vacillare, a rischio soprattutto dei soggetti da sempre meno tutelati.

Esemplare il caso dell’azienda Inzago in Lombardia costretta dalla crisi a tagli del personale e a quattro anni di cassa integrazione: il personale “scelto” per entrare in mobilità prima, e essere licenziato poi, è interamente di sesso femminile. I padroni dell’azienda per di più giustificano tale scelta sostenendo che è meglio per le donne tornare al “focolare”, dedicandosi al lavoro di cura (di casa, famiglia, bambini), a loro più adatto che il lavoro in fabbrica. Inoltre, a loro dire, il lavoro delle donne costituisce solo il “secondo stipendio” e il loro licenziamento dunque è meno grave per la sorte della famiglia che quello dell’uomo di casa. Non dimentichiamo poi il discusso caso dell’OMSA di Faenza e dei suoi 240 dipendenti che tra pochi giorni vedranno scadere la cassa integrazione e si avvieranno verso il licenziamento: la maggioranza di questi sono lavoratrici donne.

In secondo luogo ricordiamo il diffuso fenomeno delle cosiddette dimissioni in bianco: la lettera che tante lavoratrici si trovano davanti nel momento in cui si dimettono (in)volontariamente e su cui non è apposta alcuna data. Nel nostro paese vi è stato un tentativo di limitare tale fenomeno ricattatorio con una legge, la n°188, la quale prevedeva un sistema di moduli d’assunzione numerati in maniera progressiva e validi per un periodo limitato di tempo. L’ex ministro del lavoro Sacconi non ha esitato un attimo ad abolire tale legge e da quel momento le dimissioni di lavoratrici non hanno fatto che aumentare, specialmente in concomitanza con la maternità e, nel caso di lavoratrici precarie, appena prima del raggiungimento dei requisiti utili per il rinnovo contrattuale. Lo stesso ministro Fornero, pur dichiarandosi incline alla risoluzione di tale problema, si mostra dubbioso nei confronti del ripristino della 188. Per le donne, dunque è ancora difficoltoso il diritto ad entrare in maternità senza incorrere in licenziamenti e differenziazioni nell’avanzamento di carriera ma, sul versante opposto, risulta allo stesso modo problematica anche la possibilità di usufruire pienamente ed in libertà delle disposizioni contenute nella legge 194. Il nostro paese infatti mostra un numero esorbitante di obiettori di coscienza tale che spesso è impossibile per una donna interrompere una gravidanza indesiderata senza recarsi addirittura in altre paesi o province. In tal modo viene leso il diritto costituzionale alla libertà di scelta sul proprio corpo. Il 70,7% dei ginecologi italiani attivi in strutture pubbliche che effettuano l’interruzione volontaria di gravidanza è obiettore di coscienza. Con punte del 92,6% in Basilicata e dell’80,5% del Veneto. Quasi in tutte le regioni italiane il numero dei ginecologi obiettori è maggiore rispetto a quello dei colleghi che effettuano gli aborti. Per non parlare poi della diffusa avversione nei confronti della “pillola del giorno dopo”, dell’ostracismo politico verso la legalizzazione della pillola abortiva ( RU 486) , della disinformazione riguardo l’uso dei contraccettivi e della massiccia presenza di volontariato e associazionismo cattolico all’interno dei consultori avente l’effetto di orientare ideologicamente la scelta della donna nel momento di maggior fragilità. Pensiamo poi al fatto che per arginare il fenomeno della disparità nell’accesso alla politica delle donne e nella loro rara presenza in posizioni di rilievo, si sia dovuti ricorrere ad un provvedimento come quello delle “quote rosa”, il quale prevede la presenza obbligatoria del genere femminile nella misura di 1/5 dei membri delle società o aziende a partecipazione pubblica (comunque ancora lontana da una reale parità!). Questo intervento, pur avendo l’intento di favorire la partecipazione delle donne ai vertici del paese, pare in realtà sottintendere ancora una non effettiva parificazione tra i due sessi: sembra quasi che, a questo punto, la donna faccia carriera non per un reale merito ma per un obbligo imposto dall’alto.

Come poi non fare riferimento all’umiliazione e alla costante “prostituzione” del corpo femminile che avviene ogni giorno sotto gli occhi di tutti e della quale molti sembrano non accorgersi nemmeno? Se le donne riescono raramente e con estenuante fatica a raggiungere una qualche visibilità sul mondo del lavoro e nella vita politica, non si può certo dire la stessa cosa per quanto riguarda il mondo della televisione e della pubblicità! Sembra non esistere cartellone promozionale, pagina di rotocalco, talk show o quiz delle reti commerciali nella quale la donna valga più della crema per il viso che sponsorizza o dell’arredamento decorativo del conduttore di turno, in un ostentazione del corpo e della nudità della donna quanto mai offensiva e degradante.

In questo quadro generale dell’attuale situazione di disparità di genere nel nostro paese ci sembra corretto soffermare l’attenzione anche su un fenomeno destinato ad una crescente espansione. Come noto, in tutto il mondo, le donne che hanno subito mutilazioni genitali femminili sono 130 milioni circa. La pratica delle mutilazioni rappresenta una grave violazione dei diritti umani delle donne e delle bambine. Essa viola il diritto all'integrità fisica e psicologica, a essere libere da ogni forma di discriminazione o violenza e di trattamento crudele e disumano. Viola i diritti dell'infanzia e, in casi estremi, il diritto alla vita. Questo è un problema che inizia ad interessare il nostro paese dal momento che, sempre più spesso, si stanno presentando casi di bambine nate in Italia ma sottoposte a tale intervento nella terra d’origine della famiglia. Pur essendo la mutilazione genitale femminile ritenuta un reato, il tribunale di Milano, ad esempio, ha condannato a soli due anni il padre egiziano che, senza il consenso materno, ha sottoposto in Egitto la figlia a escissione. In Piemonte una bambina sottoposta dai genitori a mutilazione genitale in una clinica nigeriana è stata addirittura reintegrata in famiglia alla quale è stata riconosciuta l’idoneità ad occuparsene. Da questi esempi risulta evidente che tali provvedimenti non bastano. Il nostro paese dovrebbe prendere una posizione più incisiva a riguardo e non liquidare tale fenomeno come espressione di un diritto culturale e legittimarlo in quanto “credenza religiosa” di altri, se è vero che non la cultura in sé ma in quanto scelta da un individuo in grado di decidere è un bene meritevole di tutela (Nussbaum). Stesso discorso vale per i matrimoni combinati tra ragazze nate in Italia con giovani sconosciuti del paese originario della famiglia, se la volontà della futura sposa è contraria a quella dei genitori. Da anni associazioni come Amnesty International o Emergency chiedono all’Unione Europea un impegno forte per porre fine alle mutilazioni e, nonostante i tentativi dell’Unione sembrino essere poco coerenti e strutturati, un qualche piccolo risultato è stato ottenuto con la Convenzione del Consiglio d’Europa per prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica. L’Italia non ha ancora firmato la Convenzione. Cecile Greboval, direttrice dell'European Women's Lobby a riguardo afferma: "Porre fine a tutte le forme di violenza contro le donne, comprese le mutilazioni dei genitali femminili, dev'essere una priorità, specialmente in tempi di crisi. Sappiamo che l'Unione europea potrebbe avere gli strumenti per far cessare la violenza contro le donne e sviluppare una strategia che garantisca a tutte le donne il diritto di vivere libere dalla violenza. Allora, cosa stiamo aspettando?".

Questa crisi ed il sistema che l’ha generata ci insegnano dunque che le lavoratrici subiscono gli effetti della depressione economica e sociale in maniera maggiore rispetto agli uomini: le donne vengono a parità di mansioni pagate meno, le donne sono mantenute più a lungo precarie, le donne fanno più difficilmente carriera rispetto ai loro colleghi maschi. Il modello consumistico occidentale non fa che ridurre la donna da soggetto a oggetto. E quando parliamo di consumismo, parliamo necessariamente anche di capitalismo. Parliamo di un sistema dove il profitto sta sempre al primo posto, a costo di calpestare i diritti dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici. Parliamo di un sistema che non è soltanto “modo di produzione” ma anche veicolo di istituzioni e valori come patriarcato e familismo. Affrontare la questione femminile significa innanzitutto affrontare i problemi insiti nella struttura economica del sistema capitalista. Sentiamo dunque l’esigenza di una presa di coscienza collettiva delle donne perché pensiamo sia possibile una trasformazione della società e della politica a partire dalla soggettività femminile come primo passo verso una “rivoluzione più lunga”. Perché un’emancipazione reale della donna può realizzarsi solo attraverso un cambiamento strutturale che porti alla realizzazione di un sistema fondato sull’uguaglianza e sulla cooperazione economica e sociale.