giovedì 29 settembre 2011

Ricordando Mauro

«Noi non vogliamo trovare un posto in questa società , ma creare una società in cui valga la pena trovare un posto.»

di Federica Savino

Baluardo della libera informazione, protagonista delle lotte studentesche del ’68, tra i fondatori nell’autunno del ’69 del movimento Lotta Continua, ideatore a Milano del primo centro sociale il Macondo. Tra il 71 e il 74 si recò diverse volte in Sicilia, dove insieme al compagno Peppino Impastato organizzava i disoccupati e i senza tetto di Palermo.
Torinese di nascita ma siciliano per scelta; dopo un’esperienza in India nella comunità degli “arancioni” di Osho Mauro Rostagno si trasferisce a Trapani dove nel 1981 fonda il centro Saman, un luogo di aggregazione che presto diverrà un centro di accoglienza e di recupero dei tossicodipendenti. È qui che gestisce un programma giornalistico di denuncia nell’emittente televisiva trapanese RTC. Quello che Peppino Impastato faceva dietro ai microfoni di Radio Aut, Mauro Rostagno lo faceva dietro lo schermo della televisione; denunciare le aspre contraddizioni che lacerano il nostro paese, una dura lotta contro la mafia che violenta la penisola.
Proprio tornando a casa da una sua trasmissioni il 26 settembre del 1988 il giornalista fu ucciso. La prima a soccorrerlo fu sua moglie Chicca, sulla quale cadde poi l’accusa di omicidio. I mandanti dell’omicidio furono ricercati anche tra le file dei compagni di Lotta Continua.
A febbraio di quest’anno, ventitre anni dopo, in aula il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto procuratore Gaetano Paci accusano Vincenzo Virra, capo mafia di Trapani, e il killer della cosca Vito Mazzara dell’omicidio di Mauro Rostagno. «Rostagno – dice il pm Paci – è stato ucciso dalla mafia perché faceva paura come giornalista, a Trapani come dimostrato in altre sentenze c’era insediato un sistema di potere che aveva paura che Rostagno diventasse specchio di quella realtà criminale, che la raccontasse con fin troppa dovizia di particolari in tv».
Uccidere per impedire ad un uomo coraggioso di far emergere la verità, di risvegliare le coscienze attraverso uno sguardo critico alla società italiana. Mauro Rostagno, Peppino Impastato, Giancarlo Siani, sono solo alcune delle vittime della mafia, uccisi per impedirgli di raccontare la verità.
Salutiamo Mauro e insieme a lui vogliamo ricordare tutti quegli uomini e quelle donne che hanno lottato per creare una società in cui valga la pena trovare un posto.

domenica 11 settembre 2011

Discorso del Presidente Allende alla radio, 11 settembre 1973

La famosa scrittrice cilena, Isabel Allende, cugina del presidente Salvador Allende, commenta così le ultime parole che ha ascoltato per radio: 

la voce era calma e ferma, le sue parole così precise e profetiche che il su addio non sembrava l’estremo respiro di un uomo che era a un passo dalla morte, ma il degno saluto di chi entrava per sempre nella storia. Si compiva il suo destino.”




 7.55, Radio Corporaciòn

Parla il Presidente della Repubblica dal palazzo della Moneda.

"Viene segnalato da informazioni certe che un settore della marina avrebbe isolato Valparaiso e che la città sarebbe stata occupata. Ciò rappresenta una sollevazione contro il Governo, Governo legittimamente costituito, Governo sostenuto dalla legge e dalla volontà del cittadino. In queste circostanze, mi rivolgo a tutti i lavoratori. Occupate i vostri posti di lavoro, recatevi nelle vostre fabbriche, mantenete la calma e la serenità.

Fino ad ora a Santiago non ha avuto luogo nessun movimento straordinario di truppe e, secondo quanto mi è stato comunicato dal capo della Guarnigione, la situazione nelle caserme di Santiago sarebbe normale.

In ogni caso io sono qui, nel Palazzo del Governo, e ci resterò per difendere il Governo che rappresento per volontà del Popolo. Ciò che desidero, essenzialmente, è che i lavoratori stiano attenti, vigili, e che evitino provocazioni. Come prima tappa dobbiamo attendere la risposta, che spero sia positiva, dei soldati della Patria, che hanno giurato di difendere il regime costituito, espressione della volontà cittadina, e che terranno fede alla dottrina che diede prestigio al Cile, prestigio che continua a dargli la professionalità delle Forze Armate. In queste circostanze, nutro la certezza che i soldati sapranno tener fede ai loro obblighi."

Comunque, il popolo e i lavoratori, fondamentalmente, devono rimanere pronti alla mobilitazione, ma nei loro posti di lavoro, ascoltando l’appello e le istruzioni che potrà lanciare loro il compagno Presidente della Repubblica.

8:15 A.M.

Lavoratori del Cile:

Vi parla il Presidente della Repubblica. Le notizie che ci sono giunte fino ad ora ci rivelano l’esistenza di un’insurrezione della Marina nella Provincia di Valparaiso.
Ho dato ordine alle truppe dell’Esercito di dirigersi a Valparaiso per soffocare il tentativo golpista.
Devono aspettare le istruzioni emanate dalla Presidenza.
State sicuri che il Presidente rimarrà nel Palazzo della Moneta per difendere il Governo dei Lavoratori.
State certi che farò rispettare la volontà del popolo che mi ha affidato il comando della nazione fino al 4 novembre 1976.
Dovete rimanere vigili nei vostri posti di lavoro in attesa di mie informazioni.

Le forze leali rispettose del giuramento fatto alle autorità, insieme ai lavoratori organizzati, schiacceranno il golpe fascista che minaccia la Patria.

8:45 A.M.

Compagni in ascolto:

La situazione è critica, siamo in presenza di un colpo di Stato che vede coinvolta la maggioranza delle Forze Armate.

In questo momento infausto voglio ricordarvi alcune delle mie parole pronunciate nell’anno 1971, ve lo dico con calma, con assoluta tranquillità, io non ho la stoffa dell’apostolo né del messia.

Non mi sento un martire, sono un lottatore sociale che tiene fede al compito che il popolo gli ha dato.

Ma stiano sicuri coloro che vogliono far regredire la storia e disconoscere la volontà maggioritaria del Cile; pur non essendo un martire, non retrocederò di un passo.
Che lo sappiano, che lo sentano, che se lo mettano in testa: lascerò la Moneda nel momento in cui porterò a termine il mandato che il popolo mi ha dato, difenderò questa rivoluzione cilena e difenderò il Governo perchè è il mandato che il popolo mi ha affidato.
Non ho alternative.

Solo crivellandomi di colpi potranno fermare la volontà volta a portare a termine il programma del popolo.

Se mi assassinano, il popolo seguirà la sua strada, seguirà il suo cammino, con la differenza forse che le cose saranno molto più dure, molto più violente, perché il fatto che questa gente non si fermi davanti a nulla sarà una lezione oggettiva molto chiara per le masse.
Io avevo messo in conto questa possibilità, non la offro né la facilito.
Il processo sociale non scomparirà se scompare un dirigente.
Potrà ritardare, potrà prolungarsi, ma alla fine non potrà fermarsi.

Compagni, rimanete attenti alle informazioni nei vostri posti di lavoro, il compagno Presidente non abbandonerà il suo popolo né il suo posto di lavoro.

Rimarrò qui nella Moneda anche a costo della mia propria vita.

9:30 A.M. RADIO MAGALLANES

In questi momenti passano gli aerei.
Potrebbero mitragliarci.

Ma sappiate che noi siamo qui, almeno con il nostro esempio, che in questo paese ci sono uomini che sanno tener fede ai loro obblighi.

Io lo farò su mandato del popolo e su mandato cosciente di un Presidente che ha dignità dell’incarico assegnatogli dal popolo in elezioni libere e democratiche.
In nome dei più sacri interessi del popolo, in nome della Patria, mi appello a voi per dirvi di avere fede.
La storia non si ferma né con la repressione né con il crimine.
Questa è una tappa che sarà superata.
Questo è un momento duro e difficile: è possibile che ci schiaccino.

Ma il domani sarà del popolo, sarà dei lavoratori.

L’umanità avanza verso la conquista di una vita migliore.

Pagherò con la vita la difesa dei principi cari a questa Patria.

Coloro i quali non hanno rispettato i loro impegni saranno coperti di vergogna per essere venuti meno alla parola data e ha rotto la dottrina delle Forze Armate.
Il popolo deve stare in allerta e vigile.
Non deve lasciarsi provocare, né deve lasciarsi massacrare, ma deve anche difendere le proprie conquiste.

Deve difendere il diritto a costruire con il proprio sforzo una vita degna e migliore.

9:10 A.M.

Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.

La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes.

Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.

Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.

Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!

Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.

E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.

La storia è nostra e la fanno i popoli.

Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.



In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.

Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.

Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.

Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.

Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.

Erano d’accordo.

La storia li giudicherà.

Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più.

Non importa.
Continuerete a sentirla.
Starò sempre insieme a voi.
Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.

Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.

Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.

Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.

Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.

Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!

Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.

Santiago del Cile, 11 Settembre 1973.

11 settembre 1973. 38 anni dopo.

di Federica Savino

L’11 settembre di trentotto anni fa un violento complotto imperialista spezzava nel sangue il sogno cileno, il sogno di poter far approdare il Cile al socialismo attraverso l’arma delle libere elezioni democratiche. Il paese latinoamericano approdò in un incubo di oppressione e di miseria, i sostenitori di Unidad Popular (la coalizione che aveva appoggiato la candidatura del socialista Salvador Allende alla presidenza del Cile nel 1970) furono catturati, torturati e non in rari casi uccisi; noto è il caso dello stadio nazionale di Santiago trasformato in un’orrenda prigione.
Il venticinque maggio scorso venne riesumata la salma del Presidente Salvador Allende, la cui morte è una dei 726 casi noti di violazione dei diritti umani, su cui si sta indagando, di cui si è macchiata la dittatura militare di Pinochet. Il diciannove luglio di quest’anno sono stati divulgati i referti dell’autopsia: Salvador Allende si uccise. Tale tesi fu da sempre sostenuta dalla famiglia Allende, anche se qualcuno ha sempre affermato che quell’uccisione fosse avvenuta per mano dei militari che stavano per bombardare la Moneda, quel martedì dell’undici settembre del 1973.

La verità pervenutaci trentotto anni dopo la morte del leader di Unidad Popular non cambia nulla!
Quella fu l’ultima scelta del Presidente cileno, scelta che non assolve i responsabili del golpe per aver agito negli interessi degli Stati Uniti e della borghesia cilena, per aver bombardato il Palazzo Presidenziale, per aver distrutto il sogno di Salvador nonché del suo popolo, per aver annientato un uomo che, insieme alla sua coalizione, avrebbero potuto incidere drasticamente nella storia e nell’economia cilena e mondiale.
Qualcuno è ancora convinto servitore della ormai palese falsità storica che quegli scioperi che paralizzarono il Paese tra il ‘71 e il ‘73, furono il sintomo di un mancato sostegno popolare, che l’approdo al socialismo tanto caldeggiato dal Presidente era un pericolo per l’incolumità economica del Paese. Unidad Popular sì era pericolosa, ma ancor più pericolosa era la percentuale di consenso nel paese che continuava a crescere. Tutto ciò risultava nocivo per la grande potenza statunitense, per il grande pilastro "democratico" e neoliberista che rappresentava. Gli interessi economici nel paese latinoamericano erano enormi; le multinazionali americane tenevano in pugno l’economia cilena, tutte le risorse minerarie erano in mano ai grandi trust americani che in nessun modo potevano permettersi di perdere il primato.
La lotta doveva essere sfrenata, Nixon affermò che bisognava far “urlare di terrore l’economia cilena”, ma nonostante i continui sanguinosi boicottaggi economici degli Usa, appoggiati ovviamente dalla borghesia cilena, dalla Democrazia Cristiana (furono stanziati 2,7 milioni di dollari dalla CIA nel 1964 per contrastare la prima candidatura di Allende, sostenendo il candidato della DC Frey) e dai partiti di destra ( nelle elezioni del 1970 il sostegno andò al candidato della destra Alessandri ), il popolo cileno non abbandonò mai il governo di Unidad Popular.
Le folle di studenti che in questi mesi si sono riversate per le strade di Santiago e di altre città del Cile gridando “cadrà, cadrà l’istruzione di Pinochet” appaiono come una meravigliosa rinascita del sogno di Salvador Allende. Un movimento studentesco che nasce dal basso e che in maniera democratica e pacifica protesta mirando le basi di un sistema economico capitalista che è stato imposta dalla dittatura di Pinochet.  A maggio trentamila persone hanno manifestato a favore di una scuola pubblica e gratuita ( il 25% del sistema scolastico è finanziato dallo Stato e oltre il 75% si regge sul contributo degli studenti, circa il 65% degli studenti più poveri non riesce a terminare il suo percorso di studi a causa di problemi economici), contemporaneamente migliaia di persone sono scese in piazza in diverse città, contro il progetto HidroAysén, che prevede l'installazione di cinque mega centrali idroelettriche in Patagonia. La reazione e le proteste in difesa dell’ambiente sono state immediate, contrastando il gigantesco affare della multinazionale Endesa-Enel, associata al gruppo cileno Colbún. Precedentemente importanti movimenti regionali, come a Magallanes, protestavano contro gli aumenti del gas e a Calama per ottenere benefici reali dalla produzione di rame nella zona, così come le rivendicazioni di riavere la propria terra attraverso gli scioperi della fame da parte dei Mapuche.
Il progetto politico di Unidad Popular era assai ambizioso e non avrebbe potuto non scontrarsi con gli abnormi interessi economici della multinazionali e dei latifondisti. La legge di abolizione del latifondo fu approvato l’11 luglio del 1971. La suddivisione degli ettari fu controllata dalle organizzazione dei contadini che  favorirono l’occupazione da parte degli indiani Mapuche di quaranta mila ettari di terreno, terre che i latifondisti avevano usurpato ai nativi.
Tale legge fu preceduta dalla nazionalizzazione dei giacimenti minerari, nonostante le opposizioni parlamentari e degli Stati Uniti che provocarono la caduto del prezzo del rame sul mercato mondiale.
Il programma governativo ricomprendeva oltre alla nazionalizzazione delle grandi miniere di rame, iodio, ferro e carbone, anche quella del sistema finanziario, in particolare le banche private e le assicurazioni, del commercio estero, della grandi imprese e dei monopoli di distribuzione, dei monopoli industriali strategici, in generale di tutte le attività che condizionano lo sviluppo economico e sociale del paese, come la distribuzione e la produzione di energia elettrica, i trasporti ferroviari, aree marittime, le comunicazioni, la produzione, la raffinazione e la distribuzione del petrolio e dei suoi derivati.
Questi brevi riferimenti storici vogliono essere la prova che il malcontento, la mancanza di diritti, le disuguaglianze, la povertà che opprimono il Cile di oggi sono gli stessi che soffocavano il paese che Salvador Allende si era ritrovato a governare, con la differenza che l’obbiettivo del governo popolare, cioè quello di approdare attraverso un piano di riforme al socialismo, aveva le soluzioni per risolvere le controversie sociali ed economiche.

venerdì 2 settembre 2011

Dalla parte del lavoro: 6 settembre, ci saremo!

Vista la criminale manovra finanziaria voluta dal governo Berlusconi, che colpirà pesantemente i lavoratori e chiama la maggioranza della popolazione a pagare il conto della crisi, accogliamo con favore lo sciopero generale indetto 
( con colpevole ritardo!! ) dalla CGIL  e dai sindacati di base per il 6 settembre.
L’iniquità del sistema capitalista fa pagare la sua crisi non a chi  l’ha provocata ( banchieri, speculatori, imprenditori, finanzieri ) bensì alle classi popolari.
Tutto ciò non è accettabile né più sostenibile: bisogna mettere in discussione le stesse basi del sistema economico in cui viviamo; proprio quello che non hanno intenzione di fare né il centrodestra né il centrosinistra, che si sono resi responsabili in questi anni di attacchi senza precedenti alla scuola pubblica, alla sanità, ai servizi sociali e al Lavoro.
Quindi scenderemo in piazza al fianco di tutti i lavoratori e di tutte le lavoratrici e ribadiamo il nostro fermo e secco NO a questa manovra e alla politica economica e industriale (se ne avesse una...) del governo Berlusconi.

Ecco a nostro parere alcune proposte minime per uscire dalla crisi e per ridare dignità al nostro Paese:

  • stop alle missioni militari all’estero,rispetto della Costituzione ( solo i primi 7 giorni di guerra ci sono costati 12 milioni di euro!! )
  • cancellazione di grandi opere inutili e costose come la Tav in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto
  • innalzamento immediato di tutte le pensioni minime
  • tassa sui grandi patrimoni e aumento della tassazione sulle transazioni finanziarie
  • colpire duramente gli evasori fiscali
  • eliminare i privilegi del Vaticano
  • ridurre drasticamente i costi relativi ai privilegi di parlamentari e senatori

Questo può essere già un buon inizio..!